lunedì 16 aprile 2018

CARLA VIGANO' 6 POESIE






Non sapevo a cosa servisse il cardamomo 
e nemmeno come conservare i nostri luoghi
nei giorni dell'essenza quando insieme
convolare in posti convenuti
era frodare un precipizio
 -per noi nati sull'orlo di un enigma -
imparare a vedere coi tuoi occhi
è stato di quello che chiedo a me
accettare il rischio della metà rosata
non scie porpora -non la pena del distacco
e poi sai non voglio lasciare questa terra
nemmeno le abitudini incurvate
complici le une delle altre
quel poco di vento che mi sposta
tra il volerti e l'allontanarti anche
quando ci sfioriamo in ferite chiare
per negoziare o una clessidra o un bacio

***


non solo nei giorni di pioggia
capisco il silenzio delle cose
la sera dei resti
come ti sei persa,il tuo prestanome
vorresti chiamarti luminosa
raccogliere gli occhiali
come un sopruso alla vista
per riconoscere il filo
che annoda il tremore all'alga
e in tutto questo sprangare gli effetti
entrare negli archivi delle cause
dove le rughe si tormentano
in fioriture senza bordi

***


a pietra di luna scolpita
un riccio d'aculei fioriti
così ti compone la vista
di bellezza millenaria l
'estremità non ti scheggia le curve
ti plasma di vaniglia
e prepara lo spessore delle ali
cos'è il tuo antico candore
- un bianco che si asciuga
e d'epidermide in grani si disfa
nel suo appello naturale
in alcova a coda di lusinga
e manca poco una peluria selvatica
profuma i giri della mente

***


la domenica darei un bacio
a chi non passa sulla strada
a chi cammina scalzo o
ha foglie del platano ai piedi
al gatto coricato su un fianco
a chi gratta la fossetta a un bambino
e quello solo calcia con un sospiro
a chi s'impiglia a un filo e
crede sia in un ramo di fusaggine
a tutti quelli che dimenticano
l'alfabeto nelle corde
vocali e muti in bellezza hanno
sette occhi -al solito che
per ricordare un sogno
deve annotarlo in segni di grafite
a tuttti gli animali palmati
 non per sempre - solo al risveglio
quando volano bassi i liberi poeti

***


ho dimenticato il bicchiere
sul tavolo di cristallo in luce nordica
finge d'essere fuori da ogni cosa
un mistero lunare sconosciuto
marezzato d'azzurro vive
d'assenza e tiene il posto a chi
delicato sfiora i bordi
con la forza trasparente del lasciarsi
guarire con l'acqua
a convertire il tempo in pioggia muta
e fuori c'è silenzio e una pianta da balcone l
e nuvole sono
gente che passa vestita di bianco

***

Ospiteri un poeta se lasciasse sui muri
in graffio dell'intonaco-un futile sopravvissuto

se a tradirlo fosse un verso
un bisturi che diventa fiducia

se invitato al tavolo scoprisse tra le briciole
un lauto pasto di meditazione

se cadendo in un bicchiere ricomponesse
il vetro in cristalli scorrevoli

se invece di dire grazie mettesse se stesso
in centro per raccontarti della sua donna

se sprofondato in cuscini trafitti
sentisse della piuma il corpo intero

o se togliendomi le rughe lasciasse
che qualcosa cadendo di mano fiorisca

in una casa gialla,se con buone ragioni
il sole chiedesse permesso





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